IL RACCONTO DELL'ANCELLA "Nolite te bastardes carborundorum"
- Marcella
- 18 dic 2019
- Tempo di lettura: 3 min
Il racconto dell'ancella è un romanzo distopico scritto da Margaret Atwood nel 1985, tornato adesso alla ribalta per la serie tv del 2017 ispirata dal romanzo, "The Haindmaid's Tale".
Ci struggevamo al pensiero del futuro. Come l'avevamo appresa, quella disposizione all'insaziabilità?

A differenza della fantascienza, la distopia racconta aspetti sociali e politici negativi di un certo periodo storico dimostrando come la loro sottovalutazione/accettazione passiva consenta l’instaurarsi dei regimi rappresentati nei romanzi.
In questo romanzo ci troviamo in un futuro prossimo in Nord America, dove si insedia un regime totalitario teocratico di ispirazione biblica, la "Repubblica di Galaad" in cui le donne perdono dalla sera alla mattina ogni diritto e libertà, tra cui quella di leggere.
Al vertice della piramide sociale troviamo i Comandanti, che seguendo il precetto biblico della Genesi, secondo cui i mariti qualora avessero mogli sterili, potevano copulare con le proprie serve per generare figli, i Comandanti si dotano di Ancelle, donne fertili in stato di completo asservimento, schiavizzate al solo scopo di procreare, così come avviene alla nostra protagonista, l'ancella Difred.
Infatti, per effetto dell’inquinamento e dei disastri nucleari, gran parte della popolazione è sterile (anche se si possono dichiarare sterili solo le donne, gli uomini mai): solo alcune donne hanno mantenuto il prezioso dono della fertilità, che ora appartiene alla società intera e del quale rappresentano solo l’involucro.

Difred, prima di essere costretta a diventare ancella, conviveva con Luke, e con lui aveva avuto una bambina. In pochi mesi la sua vita cambia: viene licenziata, il suo conto bancario azzerato e perseguitata per quello che viene considerato un rapporto illegittimo (in quanto sono considerati validi solo i primi matrimoni).
Questo è un libro che, come gran parte dei distopici, lascia l'amaro in bocca e un senso di impotenza: ci racconta di una società in cui le donne sono solo oggetti, ed è quindi estremamente facile immedesimarsi e fare una trasposizione al mondo di oggi.
Su un aspetto però ho da fare delle precisazioni:
il mondo che viene descritto da Difred viene descritto solo in parte: lei non racconta quasi niente del mondo come è diventato dopo queste catastrofi, nè come esse sono avvenute.
Tutto il romanzo gira intorno al suo racconto, al suo disperato tentativo di sopravvivere, e per nulla approfondisce il cambiamento sociale in atto nel mondo: quale guerra ha creato questo repentino cambiamento climatico?
Cosa ha portato al grande tasso di infertilità della popolazione?
Cosa succede nel mondo al di fuori degli Stati Uniti? E' quella descritta l'unica realtà esistente?
Forse un minimo di approfondimento si poteva fare.
Rimane la sua voce, struggente, di una donna che si sente scomparire come persona all'interno di quell'abito rosso come il sangue.ù

Ma continuo con questa triste e affamata e sordida, questa storia zoppa e mutilata, perchè dopo tutto voglio che la sentiate, come anche io sentirei la vostra se potessi, se vi incontrassi o se scappaste, nel futuro o in Paradiso o in prigione o sotto terra, in qualche altro posto. Quello che hanno in comune è che non sono qui. Dicendovi qualsiasi cosa almeno credo in voi, credo ci siate, credo siate. Perchè dicendo questa storia voglio che esistiate. Racconto, quindi voi siete.
A meritare un plauso è sicuramente lo stile dell'autrice, ricercato, soave, con alcuni passi che sono pura poesia.
Un romanzo avvincente, scritto in maniera scorrevole e che dà una visione particolare del genere distopico, analizzando la società e il mondo femminile e, forse, lasciandoci un monito tra le righe: non accettare ciò che ci viene propinato come verità, che in questo modo rischia di essere introiettata e accettata.
Il fine dei romanzi distopici è proprio questo, di farci da monito affinchè situazioni come quelle descritte non accadano.
Voi lo avete letto?
Cosa ne pensate?
A presto,
Marcella
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